2. La voce: la Bibbia è voce che rivela il mistero e la presenza del Signore

Mosè davanti al rovento ardente di March Chagall, 1966 – Nizza, Museo del Messaggio Biblico

Il dipinto rappresenta la scena della vocazione di Mosè. Nel capitolo 3 del libro dell’Esodo si racconta la manifestazione di Dio sull’Oreb, nel segno del roveto ardente: da questo incontro Mosè uscirà investito del ruolo di profeta e di guida, dovrà parlare in nome del Signore e gli Israeliti ascolteranno la sua voce. Nelle sue parole e nei suoi gesti si esprimerà la cura di Dio che ha osservato la miseria del suo popolo, ha udito il suo grido ed è sceso a liberarlo dalla schiavitù per farlo uscire verso la libertà.

Chagall costruisce la scena come un dittico dominato dal blu, in cui Mosè viene raffigurato due volte, a destra e a sinistra del roveto, con la figura divina che costituisce il perno della composizione.

La voce divina chiama Mosè dal roveto; al di sopra di esso, infatti, sta un angelo, che si affaccia da una specie di oblò dallo sfondo celeste, colorato come un arcobaleno di forma circolare che funge anche da grande aureola. Il pittore si collega così alla tavola con la scena di Noè e ci richiama il simbolo dell’alleanza.

Chagall dovette superare il divieto di raffigurare la divinità, contenuto nella stessa Scrittura. Nella Bibbia si legge che “Dio vi parlò in mezzo al fuoco: voce di parole voi ascoltavate, nessuna immagine vedevate, solo una voce” (Dt 4,12). Il Signore si era presentato con una “voce di parole”, la stessa voce che era entrata in scena agli inizi della Creazione e che aveva squarciato il silenzio del nulla. Ora questa Parola divina entra nella storia umana per renderla storia di salvezza e di liberazione. Questa Parola è potente e fedele, è capace di compiere ciò che promette, dice ciò che fa e fa ciò che dice. È questo che ci ricorda la figura divina che spalanca le braccia non solo per proclamare il suo messaggio, ma anche per disporsi ad incontrare il suo popolo e coinvolgersi nelle sue vicende.

Mosè è presentato, una prima volta, sulla destra, in ginocchio. In ebraico la lettura avviene da destra a sinistra. Egli è colui che ascolta la voce del Signore. Lo vediamo tutto proteso in avanti: è l’immagine dell’uomo biblico, inteso come “essere interpellato” e come “risposta vivente” alla chiamata di Dio. Mosè ha un’espressione di beatitudine, accentuata dai due raggi di luce emanati dal suo volto: è l’ascolto della Parola di Dio a creare questa radiosità e questa gioia. Sullo sfondo scorgiamo le greggi che Mosè, pascolava. Dietro di lui, al margine della tavola, Chagall ha inserito Aronne, fratello del liberatore. Egli è supporto per le difficoltà che Mosè ha nel parlare e il Signore lo sceglie per offrire la sua voce alla parola: Dio si serve di annunciatori chiamati a parlare al suo popolo e, mentre li ispira nell’annuncio, rimane l’invisibile e il non udibile dietro la loro parola. La parola dei profeti si diffonde solo quando Dio ha fatto percepire la sua voce. L’annuncio profetico ha sempre dietro di sé la silenziosa presenza divina.

Sulla parte sinistra della tavola, compare nuovamente Mosè, ma, in questo caso, egli è la rappresentazione collettiva del popolo di Israele. Sotto la testa, infatti, il corpo di Mosè è costituito dalla folla degli Ebrei che attraversano il Mar Rosso: sono loro la sua carne. L’intuizione dell’artista è geniale. 

Nella parte inferiore della veste, sotto una grande onda, vediamo l’esercito del Faraone travolto dalle acque. Carri e cavalieri sono terrorizzati, mentre vengono inghiottiti dal mare. Mosè, invece, volge lo sguardo alle tavole della Legge donate da Dio sul Sinai. Si tratta di una tappa ulteriore percorsa dalla voce divina, quella delle parole scritte.

Mosè, infatti, era disceso dal monte reggendo “in mano le due tavole della Testimonianza, tavole scritte sui due lati, da una parte e dall’altra: le tavole erano opera di Dio, la scrittura era scrittura di Dio” (Es 32,15-16). 

È bello vedere su questo sfondo blu, abissale e celestiale allo stesso tempo, la grande figura biblica di Mosè, colto nelle due dimensioni complementari, di uditore della Parola e di guida del popolo di Dio. La benedizione e la vita, secondo la tradizione biblica, consistono nell’amare il Signore, nell’ascoltare la sua voce e restare attaccati a lui che è la nostra vita. È proprio ciò che sta facendo il Mosè sulla nostra destra.

Per l’insistenza sulla “voce di Dio”, l’ebraismo e il cristianesimo si definiscono religioni dell’ascolto. È proprio l’ascolto della Parola di Dio che dà forma al popolo di Dio come un corpo unitario. Questo ascolto, che Mosè visse singolarmente sull’Oreb (parte destra) diventerà decisivo per la conclusione dell’Alleanza che il Signore sancirà non solo con lui, ma con l’intero popolo (parte sinistra) quando gli Israeliti proclameranno: “Quanto il Signore ha ordinato, noi lo faremo e lo ascolteremo” (Es 24,7).

All’inizio c’è sempre una voce che chiama. Chi si lascia interpellare percepisce di star a cuore a Dio, chiarisce la propria identità, accende la curiosità per la Voce che chiama e dà così inizio all’esodo verso la libertà.


Giovanni Battista nel deserto di Philippe de Champaigne, 1657 – Museo di Grenoble

Philippe de Champaigne fu pittore alla corte di Francia per Maria de’ Medici. Il suo stile è improntato al Classicismo. Tuttavia i suoi capolavori sono i quadri di soggetto religioso che si caratterizzano per l’intensità dei gesti e degli sguardi. L’opera fu pensata dall’autore come dono per la figlia, Catherine, nel giorno in cui prese i voti ed entrò in convento a Parigi. 

Il gioco dello sguardo e del gesto del Battista, dimostrando e richiamando, cerca di guidare lo spettatore rendendolo protagonista e partecipe della scena rappresentata. Gli occhi del Battista, infatti, sono rivolti a chi guarda, la mano destra, invece, è diretta verso la piccola figura del Cristo sullo sfondo, identificato come “Agnello di Dio” dal cartiglio posto sul bastone a forma di croce, che il Battista regge con la mano sinistra.

Sotto un cielo nuvoloso, Giovanni Battista è ritratto secondo la descrizione dei Vangeli: è vestito da una pelle di cammello con cintura e bastone. Sullo sfondo si distinguono un monte, il fiume Giordano e una città, Gerusalemme. Ci impressiona, a sinistra, il modo in cui Cristo è rappresentato. La differenza di proporzioni tra i due è notevole. Ciò serve a far percepire l’immensa distanza che separa il Precursore, Giovanni, dal Messia che viene. Giovanni deve annunciare “colui che viene dopo”, chiedendo conversione. Per accogliere il Signore, infatti, bisogna prepararsi e Giovanni mostra un aspetto decisivo di questa conversione, l’unità profonda tra predicazione e stile di vita, tra il dire e il fare.

Egli, guardando direttamente lo spettatore, gli chiede di preparare la via al Signore e al suo gioioso inizio. Il rinnovamento operato dal Vangelo inizia da Giovanni. Egli si identifica come “colui che ascolta ed esulta di gioia alla voce dello sposo” (Gv 3,22). È la Parola da lui accolta nel silenzio a renderlo voce autorevole e credibile, anche se appartata e marginale. Ora la sua voce chiede conversione e indica ad altri la via per arrivare a vedere la salvezza di Dio. 

Il Battista viene presentato dai Vangeli come la “voce”. Egli, infatti, ultimo dei profeti e precursore di Cristo, rappresenta una voce che risuona come eco della Parola, di quella Parola che tra poco risuonerà pienamente nell’evangelo del Cristo. A pieno titolo, quindi, con la sua mano destra, può indicare l’Agnello di Dio presente nel mondo. E può farlo con mitezza e con autorità. Egli, infatti, è un vero testimone. Il testimone è colui che risponde e cor-risponde su ciò e di ciò che gli si è manifestato. La “Voce del Signore” rinnova colui che la accoglie. Il testimone è un sacramento della Voce, che viene resa non solo udibile, ma anche visibile e tangibile attraverso l’eloquenza del suo linguaggio e del suo vissuto. La Voce non si impone, ma si espone, rischia anche di essere fraintesa. Tuttavia il testimone apre lo spazio alla Voce, per sé e per gli altri, uno spazio che non può occupare, se vuole continuare ad essere testimone. 

Solo abitando l’eccedenza della Voce, questa trova una particolare interpretazione nel testimone che rende vera la Voce. Attraverso il Battista, che è la voce, ci raggiunge l’azione dello Spirito “che ha parlato per mezzo dei profeti”.

Il quadro non può renderci il senso della voce. Il quadro è muto. Può solo dare apparenza alla vita e trasfigurarla in bellezza. Per questo l’autore dà massimo risalto al linguaggio del corpo, in modo speciale alla mano destra, un dettaglio da contemplare. Questa mano ci parla. “il corpo, i sensi, la gestualità dell’uomo rimangono strettamente legati alla parola. La mano che indica una persona, una direzione, un oggetto, è elemento carico di valore spirituale in quanto si rifà all’indice divino del Creatore. La mano dell’Uomo creatura, infatti, non è primariamente strumento dell’afferrare, ma dell’indicare, e nel mostrare il dito non fa che invitare a ricomporre l’unità originaria attraverso la risposta al Tu. La mano, ricorda all’Io la propria vocazione con il Tu e lo orienta a farsi “facitore della parola” contribuendo essa stessa, tramite il linguaggio gestuale, a dire la parola di replica” (Ferdinand Ebner).

Possano dunque le nostre mani, i nostri gesti e il nostro stile di vita, farsi linguaggio eloquente che dona voce alla Parola di Dio, come avvenne nel Battista. È dato anche a noi di fare segni e di indicare qualcuno, che sta oltre noi stessi, per risvegliare, prima in noi e poi nei cuori di chi incontriamo, la capacità di accogliere e cor-rispondere alla voce di colui che ci chiama.

Prima che esistesse l’uomo, la voce non c’era. C’erano i suoni, i richiami, gli ululati, i barriti, i rumori. L’essere umano e la voce sono intimamente legati. La voce rivela l’età, la nazionalità, il sentire di una persona. Quando si spegne tra due uomini la voce, cala un silenzio imbarazzante. La voce lancia un ponte. La voce rompe il silenzio.

Il Battista, voce che apre la strada alla Parola, invita anche te a farti voce, ad accogliere in te la Parola eterna divenuta corpo, per farla risuonare anche oggi.