La prima opera è l’Annunziata di Antonello da Messina. Contemplala per qualche istante.
È una “annunciazione” diversa dalle altre. Rappresenta una giovane donna assorta. Il linguaggio usato è del tutto laico: non ritroviamo l’angelo, né il raggio che scende dal cielo, né gigli o altri simboli. Su un fondo nero, ci viene presentata Maria, una giovane donna, raffigurata a mezzo busto, raccolta dentro una forma piramidale creata dal velo blu che dà colore al quadro. Maria è sola. Sola con se stessa, col mistero che ha accolto tramite l’ascolto della Parola che Dio le ha rivolto.
Mettiamoci di fronte a lei come potrebbe fare l’angelo… L’autore colloca noi, quasi al posto dell’angelo, di fronte a questa donna perché ci lasciamo raggiungere dal suo messaggio straordinario. La Vergine è molto bella. Ha la pelle bruna, gli occhi di un indaco indefinibile. L’espressione è pensosa: gli occhi sono rivolti a destra, verso la luce. Le labbra, bellissime, designano serietà e serenità. Il volto è costruito sulla linea curva: l’ovale perfetto, incorniciato dal manto, mette in risalto gli elementi del viso. E ci attrae nel suo mondo interiore.
Guardiamo le mani. La destra, un capolavoro per tecnica e significato, è protesa in avanti ed esprime un «Eccomi» decisivo nella storia della salvezza. In questa mano possiamo contemplare la sintesi del primo compito di ogni discepolo: ascoltare la Parola e accoglierla nel proprio cuore.
La mano sinistra, invece, fa un movimento delicato e congiunge i due lembi del velo per chiuderlo, come per custodire qualcosa di prezioso e raccogliere, in intima contemplazione, la Parola che è giunta a lei perché nel suo corpo diventi persona. Maria, dice Luca, “serbava tutte queste cose, meditandole nel suo cuore” (Lc 2,19). Questo seno diventa la prima ospitalità, la patria del Verbo, il primo spazio terreno abitato dal Figlio di Dio, il suo primo luogo di riposo che, per questo, deve essere custodito.
L’Annunziata allarga il proprio cuore per ospitare l’Altro e, ora, lo custodisce, lo accoglie, si lascia visitare, lo incontra davvero. Maria è presentata come donna dell’ascolto che interiorizza la Parola fino a darle forma, corpo, volto.
Il grande libro aperto sul leggio è il Libro delle Scritture di Israele. Su di esso è protesa la mano destra di Maria. La mano, posta in parallelo alle pagine, sembra prolungare il riferimento al Libro, che contiene la Parola di Dio. Esso è molto vicino a lei, eppure il rapporto della mano col testo è segnato da uno spazio vuoto che indica una distanza da colmare, la possibilità di rispondere liberamente alla proposta di Dio. Maria ha ascoltato la Parola e ora esprime una sua parola personale. Il suo “Eccomi” è una risposta libera, disponibile. Maria può ora dire una parola sua che prolunga e realizza la parola che ha ascoltato. Quello spazio tra la mano e il libro è lo spazio in cui anche tu puoi stare perché è il posto della scelta personale.
L’immagine ci invita a riscoprire che cosa significhi ascoltare con disponibilità, accogliere e far fruttificare la Parola. Il senso della nostra vita ci viene costantemente dato come un dono. La Parola ci fa comprendere che la nostra vita ci è donata da Dio. E questo ci permette di diventare una testimonianza vivente del donarsi di Dio al mondo. Prima di ogni altra cosa, ci serve un rinnovato ascolto delle Scritture. Il primo atteggiamento richiesto è sempre quello del discepolato. Tutto nasce da un atteggiamento di disponibilità al Signore che, con la sua Parola, dona forma al nostro volto e alle nostre azioni.
Questa Madonna è una donna comune, laica, senza aureole o raggi dall’alto. Anche tu hai la possibilità di incontrare, accogliere e vivere la Parola nella realtà feriale della tua vita. Davvero “Questa Parola è molto vicina, è nella tua bocca e nel tuo cuore, perché la metta in pratica” (Dt 30,14). Così possiamo, con Maria, rinnovare la nostra disponibilità a compiere ciò che il Signore stesso proclama: “Figlio dell’uomo, tutte le parole che ti dico accoglile nel cuore ed ascoltale con gli orecchi” (cf. Ez 3,10).
Nel 1885 Van Gogh perde improvvisamente il padre, pastore calvinista. Qualche mese dopo, l’artista esegue di getto, in una sola giornata, questa tela, firmata in basso a sinistra con del colore rosso sangue.
Quest’opera, una delle più interessanti sul tema del Libro delle Scritture, mostra una grande Bibbia aperta, così potente e solenne che la stessa tavola su cui è posta diventa come un altare e tutto rimanda al nutrimento della parola.
Secondo le indicazioni di Van Gogh, questa è la Bibbia di suo padre. È un testo arricchito da una connotazione affettiva. Accanto al Libro sacro, una candela spenta è posta su un candeliere.
Nonostante i toni bruni e terrosi, la scena è illuminata da una viva luce che scende dall’alto.
Il genere è quello della natura morta che, secondo lo stile del tempo, crea delle allegorie per richiamare valori morali e riflessioni sapienziali e spirituali. La natura morta è uno specchio delle realtà che passa. Van Gogh riprende certamente questi simbolismi antichi: la candela spenta, che richiama la morte, è un simbolo ben conosciuto e diffuso in questo genere pittorico. Qui, però, c’è qualcosa di più e di diverso.
C’è un memoriale del padre, c’è un dialogo silenzioso che il pittore vuole mantenere.
Al centro dell’opera c’è questo grande e santo Libro che domina la scena: è messo in evidenza da una specie di leggio che lo solleva dal piano della tavola.
Questo dettaglio insieme al candeliere e ai due fermagli aperti, conferisce all’immagine uno spessore liturgico. La Bibbia è come aperta nella notte; essa genera la luce soprannaturale della fede che illumina il mistero. Non c’è più bisogno della luce terrestre della candela. Questa Bibbia aperta è una professione di fede e un segno di speranza.
In una sua lettera Van Gogh aveva affermato: “una delle verità fondamentali, non solo del Vangelo, ma di tutta la Bibbia, è che la luce splende nelle tenebre. Attraverso le tenebre, verso la luce”.
In questa tela, il dolore per la morte del padre si accompagna all’Alleluia della Pasqua. La Bibbia, infatti, è aperta su una pagina ben precisa: sulla destra si vede scritto, in caratteri romani il numero 53 del libro del profeta Isaia. I testi di riferimento, quindi, fanno parte sicuramente del capitolo 52 dove, al versetto 7, leggiamo “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero di lieti annunzi che annunzia la pace, che dice a Sion: Regna il tuo Dio”. E ancora, al versetto 13, un riferimento al Servo del Signore riletto in senso paterno: “Ecco, il mio servo avrà successo, sarà onorato, esaltato e molto innalzato”. Del capitolo 53, probabilmente, potrebbe essere letto il versetto 11: “(Il mio servo)… dopo il suo intimo tormento vedrà la luce”.
È la pagina stessa della Bibbia che diventa un messaggio, proprio per il modo in cui è dipinta. Van Gogh ce la presenta con un colore delicato che fa diventare la Scrittura una specie di miniatura indistinta e sfumata. La pagina diventa come un tappeto, un campo, un cammino.
La pittura non imita un testo scritto, ma rappresenta il lavoro e la passione, il respiro e la spiritualità, la mano e il cuore dell’autore. È un libro usato, un volume che è stato letto e che ha rivelato la Parola di Dio, prima al padre e ora al figlio.
Accanto alla Bibbia, è collocato un libro più piccolo, identificabile dal titolo e dall’autore: “La gioia di vivere” di Emile Zola, un romanzo che Van Goh amava al punto da identificarsi con Lazare, il protagonista della vicenda narrata: vi si ritrovava con le sue angosce, con la sua ricerca del senso della vita, con il suo desiderio di sacrificarsi per la gioia degli altri, e addirittura con il suo personale riferimento al Lazzaro del Vangelo, risuscitato da Gesù.
Questo testo, in un certo senso, rappresenta la personificazione dell’autore, che sta ora ai piedi del padre, identificato nella Bibbia. Secondo alcuni, dopo i conflitti con il padre, in questo dipinto l’artista si ritrae come il figliol prodigo che rende omaggio al padre, le cui braccia aperte sono simboleggiate dalle grandi pagine spalancate della Bibbia.
Vang Gogh, così, rilegge la sua vita nella Bibbia e viceversa. Tra l’altro, nel 1887, scriveva: “Io non posso comunicare fino a che punto ho bisogno della Bibbia; ogni giorno vi leggo qualcosa. Ma ciò che io desidererei ardentemente sarebbe di averla tutta nella mia testa, per vedere la vita alla luce di queste parole”.
Accostando i due capolavori puoi riscoprire il libro della Scrittura come parola che puoi accogliere, come cibo che nutre, come luce che illumina le tenebre. La Bibbia è una Persona che si incarna nella nostra storia; è una strada che conduce verso la vita; è un campo in cui è seminato il grano buono che trasforma la nostra esistenza.