03. Il volto. La parola è una persona da conoscere, Gesù di Nazareth, Figlio di Dio incarnato 

 Il Pantocrator, Mosaico del secolo XII, Duomo di Monreale

Nel percorso che pone al centro la Scrittura ci fermiamo ora sul volto. Il volto è quello di Gesù, Parola eterna di Dio, che si è fatta visibile ed è sempre presente a noi nella contemplazione di tutti i volti.

L’immagine del Pantocrator del Duomo di Monreale coniuga il ritratto umano di Gesù con la luce divina. Dall’incontro con il Libro si passa al contatto con una Persona.

Il Cristo sembra dominare dall’alto del cielo: qui davvero il Signore Onnipotente viene riconosciuto come “l’Altissimo”! L’altezza infatti è il segno privilegiato della signoria: il cielo è un ambiente inaccessibile all’uomo.

La verticalità dona una straordinaria potenza e solennità a questa rappresentazione che comunica al fedele la sensazione di essere ricoperto e protetto dalla immensità divina. A questo, poi, si sovrappone la luminosità di un volto umano: l’elemento che domina l’intera architettura è il busto di Cristo, il Dio fatto uomo, il Verbo disceso dal cielo per portare la luce tra le tenebre. Dio, l’Altro per definizione, ci interpella con lo sguardo di un Figlio dell’Uomo. Anche le dimensioni (la larghezza di questa figura misura 12 metri!) creano una sensazione di maestosità.

Un altro accorgimento è lo sfondo dorato che accompagna l’immagine di Cristo. Dona una sensazione di incandescenza e crea un’atmosfera calda, rimanda tutta la luce. La superficie convessa produce un ulteriore gioco di riflessi. Di qui l’impressione che il tempio rifulga di luce propria. 

A ciò si aggiunga il dettaglio della collocazione del busto di Cristo inscritto in una aureola. Questa simbologia porta con sé l’idea di perfezione e di eternità e attribuisce alla figura umana di Cristo il significato di un’esistenza superiore ed incomparabile. In questo modo, viene suggerita l’immanenza e la trascendenza, la natura umana e divina del Dio fatto Carne.

Il Pantocrator assume anche una postura particolare: con una mano benedice e con l’altra regge il libro delle Sante Scritture, aperto su una pagina particolarmente significativa in cui sta scritto: “Io sono la luce del mondo” (Giovanni 8, 12). In questo modo qui viene messa in parallelo la Parola divina che si fa carne con la stessa Parola che si fa libro.

L’immagine ricorda che i cristiani restano ancorati all’ascolto del Vangelo, consapevoli che ciò non significa seguire un maestro di dottrine, ma affidarsi a Colui che è la Parola, cioè il Verbo Incarnato. Non viene riportata solamente una scritta, ma il volto di una persona: il centro della fede cristiana non sta in “una decisione etica o in una grande idea, bensì nell’incontro con un avvenimento, con una Persona” (Deus Caritas est 1). E nel Pantocrator vediamo il ritratto di un uomo barbato, che trae origine dall’immagine Acheropita, cioè “non realizzata da mano d’uomo” che, secondo un’antica leggenda sarebbe l’impronta stessa del volto di Cristo lasciata durante la sua vita. Comunque sia, l’immagine del Pantocrator ci trasmette l’intensità di una persona concreta attraverso una sorta di realismo astratto, in cui i caratteri somatici vengono stilizzati e mettono in evidenza soprattutto gli occhi.

Lo sguardo del Pantocrator ha il potere di sospendere il tempo. Va al fondo del cuore. In questi occhi c’è una sorta di magnetismo, qualcosa di affascinante che ci fa sentire alla presenza del “Vivente”, colui che regge tutte le cose. Tuttavia questo sguardo comunica anche l’azione dinamica dell’amore divino che avvolge l’uomo peccatore e sospinge ad affidarsi al Signore e ad amare a sua volta.

Comunque ci si senta e dovunque ci si trovi questi occhi ci accompagnano e ci seguono dall’alto così come afferma l’espressione del salmo: “Ecco, l’occhio del Signore veglia su chi lo teme, su chi spera nella sua grazia, per liberarlo dalla morte e nutrirlo in tempo di fame” (33, 18-19). Poiché egli è l’Altissimo, nulla sfugge al suo sguardo.

L’immagine di Cristo ed il suo sguardo non avrebbero tuttavia questa potenza se non fossero collocati in quella luce scintillante che elimina ogni illusione di spazio e di profondità. La superficie vuota, decorata a mosaico d’oro, toglie qualsiasi prospettiva perché “Colui che è l’autore di tutte le cose sta al di là di tutte le cose”. Lo spazio in cui egli abita non è dunque un luogo che sta dietro all’immagine, ma è dentro di noi che lo contempliamo. La prospettiva si trova davanti all’immagine, nel luogo in cui il nostro sguardo incontra quello del soggetto raffigurato.

L’icona non è illustrazione oggettiva, è presenza soggettiva, è sacramento di un incontro personale col Signore. Vedere il Signore è vedere colui che ci vede per primo: “Non ti erano nascoste le mie ossa quando venivo formato nel segreto, intessuto nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi e tutto era scritto nel tuo libro; i miei giorni erano fissati, quando ancora non ne esisteva uno” (Sal 139,15-16). Così, l’uomo scopre veramente se stesso mettendosi nella prospettiva di questo sguardo del Signore che si presenta come il grande amico dell’uomo, come l’alleato della sua libertà. Infatti noi ci troviamo qui alla presenza di un Dio che si manifesta nell’umanità del Figlio, associata allo splendore della luce! Coniugando indissolubilmente il ritratto umano di Gesù alla luce divina, l’immagine del Pantocrator ci mostra un’umanità compiuta, quella del Risorto. E così in questo volto si può sperimentare un anticipo della visione finale. E allora in questo sguardo noi possiamo anche contemplare l’altissima dignità dell’uomo, la sua vera grandezza, la sua chiamata all’incontro col Signore.


 Meditazione in preghiera di Alexej von Jawlensky Monaco, 1922

Molto diversa, ma profondamente spirituale, è l’opera di un autore moderno, Alexej von Jawlensky, che aderisce alla corrente espressionista.

Ferma il tuo sguardo meditativo su questa tela.

Il Verbo si è fatto carne” (Giovanni 1, 14): è a partire da questo versetto cardine del vangelo di Giovanni che, lungo duemila anni di storia, gli artisti si sono cimentati nel raffigurare il volto di Cristo, ciascuno col proprio stile, col proprio linguaggio figurativo. Se a loro è stato possibile raffigurare Cristo, è proprio perché in lui la Parola eterna e divina è entrata nello spazio e nel tempo ed ha assunto un volto, un’identità umana. Il mistero dell’Incarnazione ha permesso all’uomo non solo di udire, ma anche di vedere, poiché Cristo “è l’immagine del Dio invisibile” (Colossesi 1, 15). Così, come afferma la Dei Verbum al numero 13, “le parole di Dio, espresse con lingue umane, si sono fatte simili al linguaggio degli uomini, come già il Verbo dell’eterno Padre, avendo assunto le debolezze della natura umana, si fece simile agli uomini“.

Tra i pittori che hanno impegnato il proprio talento in questa direzione, troviamo anche Alexej von Jawlensky, l’autore di questa tela, intitolata Meditazione in preghiera. Jawlensky, nato nel 1864, era di origini russe. La sua vocazione pittorica va fatta risalire ad una sua partecipazione ad una solenne liturgia ortodossa, durante la quale egli fu affascinato e come soggiogato dallo splendore delle icone e dalla devozione dei fedeli. L’arte divenne per lui la cosa più sacra, il suo ideale a cui si consacrò cuore e corpo. Negli ultimi anni della sua carriera, si dedicò esclusivamente al soggetto del volto di Cristo, cercando di esplorarne la profondità e nel tentativo di evidenziarne la dimensione divina. 

Jawlensky sviluppò la sua ricerca pittorica sull’immagine di Cristo, nella direzione di una stilizzazione estrema, che intendeva giungere ad una sintesi del volto nella forma della croce. Se osserviamo con attenzione questo dipinto, possiamo notare che la struttura della fronte, degli occhi e del naso tracciano nettamente il profilo della croce. Inoltre, la linea della bocca costituisce una terza linea, più piccola che allude al terzo braccio delle croci ortodosse. Questa croce viene movimentata dalla sua collocazione obliqua. La croce è sintesi della vita del Cristo; è la forma a cui il pittore riconduce la rappresentazione del volto di Gesù, volto umano in cui è impresso il divino. Ti rimanda ad una vita totalmente donata. 

L’aggiunta dei leggeri riccioli ai lati delle guance e la colorazione tenue, quasi acquerellata, conferisce all’espressione severa un tono di serenità e di vita. Di fronte a queste immagini, come dice qualche critico, potremmo parlare di una specie di “crocifissione del volto” (Goldberg) nella misura in cui tutto si riduce ai due assi che si incrociano, come nel caso del patibolo di Cristo, simbolo di morte e di gloria per eccellenza.

Questo volto è rappresentato con gli occhi chiusi. Il nostro sguardo incontra un’assenza di sguardo come per indicare che la vera immagine di Cristo non può che essere interiore. La forma del volto è idealizzata, originale, primordiale: rappresenta un unico modello dietro la molteplicità dei tratti umani. Dal punto di vista spirituale, si manifesta così la ricerca di fede dell’immagine autentica, dell’immagine di Dio che è in noi, del volto di Cristo che è in ogni uomo.

Noi contempliamo dunque la creazione di un artista che si è concentrato essenzialmente sul volto di Cristo, volto umano su cui si è stampata l’impronta del divino. Da quando Jawlensky decise di impegnarsi in questa ricerca spirituale prima ancora che artistica, sembra che la sua pittura fosse diventata per lui una sorta di preghiera. Ogni tela della serie delle “Meditazioni” scorre tra le sue dita come i grani di un rosario, insistentemente ripetuto e, appunto, meditato.

Alla fine della sua vita egli scrisse: “Ho provato il bisogno di trovare una forma per il volto, perché avevo compreso che non è possibile creare alcuna grande pittura senza un autentico sentimento religioso. E questo non lo si può esprimere che attraverso il volto umano. Avevo capito che il pittore deve restituire tramite la forma ed il colore ciò che di sacro è presente in lui. È per questo motivo che l’arte diventa una manifestazione di Dio e una nostalgia di Dio“.

Jawlensky non è interessato a fare dei ritratti devozionali ma a dar forma all’interiorità. Si tratta dunque di un’immagine che diventa segno, scrittura! Questo volto è di natura teologica: mira ad avvicinarsi non tanto all’apparenza, quanto all’identità del volto di Cristo trasmessa dalla Scrittura; è un volto che cerca di comunicarci una presenza dell’essere, più che la sua rappresentazione. 

Questo volto di Cristo che noi vediamo dipinto, però, è solo un anticipo e una profezia di quel volto che incontreremo un giorno, come dichiara Paolo: “Ora noi vediamo in modo confuso, come in uno specchio; allora invece vedremo faccia a faccia” (1 Cor 13,12). In questo modo noi siamo rinviati però non solo alla dimensione escatologica, ma anche a quella etica, poiché se il Cristo è divenuto uomo è perché l’uomo possa diventare Dio.

Il volto non descrittivo di Cristo dipinto da Jawlensky, indica allora qualcosa di incompiuto che ci chiama (vocazione). La mancanza di descrizioni del volto di Cristo nella Scrittura crea un vuoto, lascia uno spazio da riempire, che diventa come un invito a diventare noi sua presenza riconoscibile, col nostro volto, con i nostri gesti e le nostre parole. Il pittore stesso ci introduce in questo orizzonte quando nei suoi appunti scrive: “Ora io lascio queste piccole “Meditazioni” a tutte le persone che amano l’arte“.

Questa immagine rappresenta dunque un’eredità artistica e spirituale destinata anche a noi, perché l’incontro col volto di Cristo che si manifesta nella pittura, a partire dalla Scrittura, diventi per noi sorgente di rinnovamento e di trasformazione ad immagine dell’uomo nuovo. E il fatto che su questo volto sia impressa la croce deve invitarci a non avere alcuna paura se la nostra carne è segnata dal limite.

Saranno i nostri volti, con le loro forme ed i loro colori, a tracciare continuamente alcuni tratti della fisionomia inesauribile di questo volto, nel presente e nel futuro, così come hanno fatto i santi prima di noi.

Ora lascia per qualche istante la contemplazione delle due opere d’arte che ti hanno rivelato e nascosto il volto del Cristo, Verbo di Dio. 

Comincia a guardare i volti delle persone che sono attorno a te, nel luogo dove sei in questo momento. Rintraccia in ogni volto i lineamenti di Cristo. 

Per approfondire con la Scrittura

Dal Vangelo secondo Giovanni                   12, 20-26

                  20 Tra quelli che erano saliti per il culto durante la festa c’erano anche alcuni Greci. 21 Questi si avvicinarono a Filippo, che era di Betsàida di Galilea, e gli domandarono: «Signore, vogliamo vedere Gesù». 22 Filippo andò a dirlo ad Andrea, e poi Andrea e Filippo andarono a dirlo a Gesù. 23 Gesù rispose loro: «È venuta l’ora che il Figlio dell’uomo sia glorificato. 24 In verità, in verità io vi dico: se il chicco di grano, caduto in terra, non muore, rimane solo; se invece muore, produce molto frutto. 25 Chi ama la propria vita, la perde e chi odia la propria vita in questo mondo, la conserverà per la vita eterna. 26 Se uno mi vuole servire, mi segua, e dove sono io, là sarà anche il mio servitore. Se uno serve me, il Padre lo onorerà

Siamo noi i “greci”. Esprimiamo il nostro desiderio: “Vogliamo vedere Gesù”. Paradossalmente incontriamo Gesù nella “Crocifissione del volto” di Jawlensky.

Dalla lettera di san Paolo apostolo ai Colossesi                      1, 15-20

15Egli è immagine del Dio invisibile, primogenito di tutta la creazione, 16perché in lui furono create tutte le cose nei cieli e sulla terra, quelle visibili e quelle invisibili: Troni, Dominazioni, Principati e Potenze. Tutte le cose sono state create per mezzo di lui e in vista di lui. 17Egli è prima di tutte le cose e tutte in lui sussistono. 18Egli è anche il capo del corpo, della Chiesa. Egli è principio, primogenito di quelli che risorgono dai morti, perché sia lui ad avere il primato su tutte le cose. 19È piaciuto infatti a Dio che abiti in lui tutta la pienezza 20e che per mezzo di lui e in vista di lui siano riconciliate tutte le cose, avendo pacificato con il sangue della sua croce sia le cose che stanno sulla terra, sia quelle che stanno nei cieli.