5. Le strade. La Bibbia è lampada per i passi degli uomini, lungo i cammini della storia.

Cristo con i discepoli di Emmaus, Bassorilievo della fine del secolo – XI Monastero di Silos

L’opera è un bellissimo bassorilievo che si trova nel monastero di Silos in Spagna. L’abbazia costituisce una delle testimonianze più significative del romanico spagnolo. Il chiostro stupisce per la ricca serie dei capitelli che manifestano le influenze dell’arte araba e per i grandi pannelli scolpiti a bassorilievo sui quattro pilastri angolari.

La semplicità e l’austerità della scena dei Discepoli di Emmaus sorprendono immediatamente. “Resta con noi perché si fa sera” (Lc 24,9) è il passaggio del racconto che viene interpretato dal bassorilievo in cui nessuna decorazione, nessun particolare viene a disturbare l’unità della scena.

I tre personaggi occupano tutto lo spazio. Quello che sta al centro leva la destra per mostrare che il giorno già volge al declino. Il primo personaggio reca in mano un libro: è un esplicito riferimento alle Scritture con cui Gesù aiuta i discepoli a rileggere il significato della sua passione. Si tratta non tanto di un rotolo antico, ma di un codice manoscritto del tipo di quelli che circolavano nell’abbazia di Silos al tempo dei bassorilievi: le mani del discepolo sembrano accarezzare con delicatezza questo libro. Il gesto riassume la cura che i monaci esprimevano nei confronti del testo biblico, da loro quotidianamente letto, pregato, meditato e pazientemente copiato ed illustrato. In queste pagine essi trovavano il punto di riferimento per la loro vita, cercavano le risposte alle loro domande e chiedevano luce e forza per il loro cammino religioso.

Davanti a lui sta Gesù, che volge il capo all’indietro, mentre sembra procedere oltre: notevole è il suo camminare che assume la leggerezza di un passo di danza.

I dettagli dei volti sono molto curati, in modo speciale i capelli e le barbe con i lunghi baffi affilati. La testa di Gesù, che rimane più in alto delle altre due, esprime nobiltà e raccoglimento. Anche i suoi capelli sono più lunghi di quelli degli altri personaggi. Il cuore dei discepoli viene riscaldato lungo la via ed i loro occhi cominciano a guardare in modo nuovo la vicenda di Cristo.

Lo scultore ci comunica qualcosa di questa trasformazione dei due discepoli: prima di tutto con l’abbigliamento della figura del Risorto. Gesù indossa un mantello raffinato, fissato sulla spalla destra e con i bordi ricamati con l’inserimento di perline. Le pieghe di questo mantello accompagnano il movimento del corpo. Non si tratta di una tenuta da viaggio! Viene piuttosto qui richiamata la veste liturgica ed il diadema che indossava il Sommo Sacerdote ebraico: così il Risorto è presentato come l’unico sacerdote, che ha compiuto il sacrificio per eccellenza, quello della Croce.

Il copricapo di Gesù ricorda la corona degli imperatori bizantini ed è composto di spicchi che partono dal centro e la decorazione del bordo riprende quella delle maniche della veste. C’è dunque un riferimento alla regalità messianica di Cristo, cantata nei salmi e nei testi profetici: sono queste le Scritture che vengono spiegate da Gesù e che diventano luce per il cammino dei due di Emmaus, ed oggi per noi.

Così anche noi possiamo partecipare intensamente al gesto del secondo discepolo che tiene in braccio il “libro” perché, come i due viandanti di Emmaus, è proprio questa la novità che è chiamato a riconoscere chiunque contempla il bassorilievo di Silos con l’occhio della fede! L’artista ci anticipa qui l’illuminazione che avviene al momento della cena (cfr. versetto 31), mostrandoci l’invisibile conversione del cuore, nello sguardo assorto di questo personaggio. 

Nel complesso noi vediamo riassunti diversi atteggiamenti caratteristici della fede cristiana: l’accoglienza dell’Evangelo, la conversione, la supplica… ma soprattutto la sequela!

Basta guardare il particolare dei piedi. Il primo passo del Risorto viene verso di noi, perché siamo noi quelli che oggi lui vuole incontrare. Cristo è la Parola di Dio e si avvia lungo le strade del mondo per incontrare il grande pellegrinaggio dei popoli della terra. I piedi dei due discepoli, invece, sono perfettamente allineati all’altro piede del Risorto. Questo particolare suggerire l’idea della strada che bisogna intraprendere per seguire il Signore. Gesù infatti è “la Via”, colui che ci precede sempre sulle strade del mondo.

E per sottolineare questa prospettiva della vita cristiana come cammino al suo seguito, l’artista ha raffigurato il Risorto come un pellegrino medievale in marcia sulla strada del Santuario di Santiago di Compostela. Infatti, sulla bisaccia vediamo il simbolo della conchiglia, la “capa santa” (riprodotta in coppia altre cinque volte sulla cintura!). Questa conchiglia era il distintivo dei pellegrini alla tomba dell’apostolo Giacomo. E l’Abbazia di Silos era una tappa significativa non distante dalla via principale.

È questa una delle più antiche immagini del Cristo raffigurato come “pellegrino”, iconografia che si diffonderà nei secoli successivi. Possiamo intuire quale doveva essere l’emozione dei pellegrini che gioivano nel riconoscere il Cristo come “compagno di viaggio”. Nello stesso tempo però il bassorilievo ricordava ai monaci il dovere di accogliere ogni pellegrino come fosse il Cristo stesso.

Ecco dunque che questa opera d’arte ci richiama un ulteriore aspetto della vita cristiana, quello della carità. Se teniamo presente che l’itinerario dei due di Emmaus culmina alla mensa del Pane Spezzato e poi si conclude con il viaggio di ritorno alla comunità con l’annuncio della Risurrezione, noi ci rendiamo conto di quale potente sintesi teologica è contenuta in questo bassorilievo. Questa immagine può diventare annuncio, preghiera, secondo la sensibilità di ciascuno; allora davvero essa può “scaldare il cuore” facendoci riconoscere “Colui che è il cammino“; può ricordarci che Cristo è la Parola di Dio che esce dalla sua casa e si avvia lungo le strade del mondo per incontrare il grande pellegrinaggio che i popoli della terra hanno intrapreso alla ricerca della verità, della giustizia e della pace. Sì, il Risorto cammina anche oggi lungo le vie complesse e talvolta contorte della nostra società e della nostra cultura.

Ci sono anche oggi, nelle nostre strade e nelle nostre piazze, tante persone che cercano, che portano con sé desideri ed aneliti, tristezze e speranze. A queste attese oggi siamo chiamati a rispondere noi discepoli, rimettendoci continuamente al seguito del Maestro, il grande pellegrino che ha preso il nostro passo, e che ci invia come compagni di viaggio, sulle strade antiche e su quelle nuove ed inesplorate del nostro mondo moderno.


Cristo in periferia, di Georges Rouault, 1924 – Tokyo, Bridgestone Museum

La strada ha una sua spiritualità. È un patrimonio di volti, storie, sguardi. Il confronto con la strada non è per noi una scelta possibile tra le altre. È un percorso obbligato. La strada deve tornare ad essere il riferimento simbolico ed operativo di ogni esperienza cristiana. Non è il solo luogo dove vivere un’esperienza cristiana. Ma è il luogo in cui si esprime tanto la povertà delle persone (non solo materiale, anche di sensi, significati e valori) quanto la liberazione. La strada esige fedeltà e lealtà. Ci chiede di leggere i cambiamenti e le trasformazioni. Ci chiede, ieri come oggi, di esserci. Di impastarci con la storia, di uscire dai nostri recinti, nicchie troppo protette. Ci educa all’autenticità, ad accogliere l’altro, a riconoscerlo. […] La strada è il luogo della festa ma è anche il luogo delle domande in costante trasformazione. Stare indica abitare e in questo starci c’è un invito a ritrovare le ragioni del nostro impegno di Chiesa al fianco di chi è più fragile, debole e meno garantito. Poi c’è un altro elemento. Sulla strada si impara […] La strada ci chiama tutti per nome. I princìpi non possono essere un alibi per tentennare. Guai se in nome di un principio non si accolgono le persone. Purtroppo invece oggi i pregiudizi resistono. Non vergogniamoci di camminare con Dio: con gli immigrati, le ragazze sfruttate, i carcerati, i disabili. La strada ci ricorda che gli altri siamo noi. E l’incontro con gli altri non è né fatalità né caso. È un dono“.

Queste parole di d. Luigi Ciotti possono introdurci in modo appropriato al “mistero” di questo quadro di Georges Rouault intitolato “Cristo in periferia”. Questo dipinto del 1920 è caratterizzato dal tenue chiarore che avvolge i personaggi e crea un’atmosfera carica di speranza nel contesto di un desolato sobborgo urbano. Si tratta di uno dei celebri “paesaggi mistici” di questo grande artista francese del XX secolo, il cui occhio cerca sempre di cogliere i segni del riscatto sui volti dei sofferenti e sulle miserie umane. Rouault afferma che bisogna “fare un viaggio all’inferno, ma con la fede nella redenzione“. La scena, collocata in uno spazio reale ed insieme immaginario, ci testimonia la sincera convinzione di fede dell’artista: Cristo cammina con gli uomini, condivide con loro le fragilità ed i dolori per aprire la via di un superamento del loro destino. Rouault afferma che la sua arte è “un’ardente confessione di fede”.

In mezzo alla via, una piccola figura di Cristo sta accompagnando due “ragazzi di strada“. Sappiamo che Rouault partecipa al tentativo di rinnovamento dell’immagine di Cristo nella pittura, tipico della sua epoca. Il suo Gesù non è più quello convenzionale delle accademie o del gusto ufficiale della Chiesa. Le figure di questi due piccoli “compagni di viaggio” sono un simbolo della povertà, dell’ingiustizia, dell’oppressione dei deboli. Rouault intende protestare contro ogni prevaricazione e violenza. I suoi Cristi, per questa ragione, sono prima di tutto dei poveri, dei piccoli, dei maltrattati. Rouault, anche in questo caso, abbozza il ritratto di due ragazzi di cui il Cristo si fa fratello maggiore. E così, mentre egli umanizza il Cristo, conferisce contemporaneamente ai due ragazzi un carattere “divino”.

Possiamo cogliere senza fatica il dialogo affettuoso e fraterno che si instaura tra i personaggi collocati come gli attori di un dramma sacro, davanti alle quinte scenografiche di case e campanili, porti di mare e piazze di paese, di ciminiere incombenti che ricordano la fatica del lavoro, di alberi scheletriti che esprimono la partecipazione della natura ai drammi umani.

Questa periferia è però rischiarata dalla luce soffusa di una luna piena, astro celeste che illumina la notte e che ci comunica l’idea di essere abitata da una presenza umile, ma centrale, che sembra poter trasfigurare la realtà. In questo modo, l’opera ci manifesta che la luce non viene propriamente dalla luna, e non cade sui palazzi o sui personaggi, ma emerge, sorge dalla tela stessa. Qui si manifesta qualcosa che non può essere spiegato se non con la fede di Rouault. Si crea così un’atmosfera quasi di veglia che porta con sé un presagio di rinascita. Le stesse case, anziché essere dipinte di grigio o di colori freddi, assumono una colorazione rosacea, quasi umana.

Dove passa il Cristo, gli ambienti si trasformano in luoghi in cui accade qualcosa di significativo, una specie di trasfigurazione. Allora anche questo spazio così freddo e spoglio diventa per l’artista un luogo santo per eccellenza, dove può regnare il silenzio e la pace.

Dell’arte di Rouaulti, così scrisse Maritain nel 1910: “Noi siamo stati per lungo tempo impressionati … Contempliamo attentamente queste sottili e luminose pitture, di cui la materia spessa racchiude la solidità della grande arte primitiva: noi ci sentiamo penetrati da un mistero più profondo, da una poesia trascendente, da un ardimento assoluto della libertà e dell’arte pittorica, che ci rivela una ardente serenità“.

E così, ancora una volta, la sua arte si fa annuncio e ci ricorda che chi, come lui, sa inoltrarsi con fede per le strade del mondo, ne scopre anche i ghetti ed i bassifondi dove si annidano sofferenza e povertà, umiliazioni ed oppressioni, emarginazioni e miserie, malattie fisiche e psichiche, solitudini. Spesso le pietre della strada sono insanguinate dalle guerre e dalle violenze, e nelle periferie abitate dai piccoli, si scarica l’indifferenza del potere, quando la corruzione si incrocia con l’ingiustizia.

Di qui, come da questa strada del dipinto, si leva il mesto, spesso silenzioso grido dei perseguitati. C’è anche chi viene soffocato da crisi esistenziali o non è più capace di trovare un significato che dia senso e valore allo stesso vivere. Molti sentono incombere su di sé anche il silenzio di Dio.

Tuttavia, nei dipinti di Rouault, come nelle Scritture, si fa spazio la figura di Cristo che entra nella storia ed apre il suo mistero pubblico proprio con un annuncio di speranza per gli ultimi della terra: “Lo Spirito del Signore è su di me; per questo mi ha consacrato con l’unzione e mi ha mandato a portare ai poveri il lieto annuncio, a proclamare ai prigionieri la liberazione e ai ciechi la vista; a rimettere in libertà gli oppressi, a proclamare l’anno di grazia del Signore” (Lc 4, 18-19).

Il Cristo di Rouault si accosta lui stesso al livello più basso, svuotando se stesso della sua gloria, assumendo la condizione di servo, diventando simile agli uomini, umiliando se stesso e facendosi obbediente fino alla morte e alla morte di croce (Fil, 2, 7-8). Questo Cristo, nella sua solidarietà d’amore e col dono totale della sua vita, riesce a deporre nel limite e nel male dell’umanità un seme di divinità, ossia un principio di liberazione e di salvezza; col suo offrirsi a noi irradia di redenzione il dolore e la morte da lui assunti e vissuti e apre a tutti l’alba della risurrezione. 

L’arte di Rouault provoca ogni cristiano a scendere in strada con Cristo, per farsi carico della missione di annunciare questa parola di speranza, attraverso la sua condivisione coi piccoli, coi poveri e coi sofferenti, attraverso la testimonianza della sua fede nel Regno di verità e di vita, di santità e di grazia, di giustizia, di amore e di pace, attraverso la vicinanza amorosa che non giudica e non condanna, ma che sostiene, illumina, conforta e perdona, sulla scia delle parole di Cristo “Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi e io vi darò ristoro” (Mt 11, 28).

Anche tu sei invitato a scendere in strada per annunciare una parola che illumina, che offre speranza. Ridipingi allora con i colori della tua vita questo quadro, ponendoti accanto a tutti i “ragazzi” di strada che la storia ti fa incrociare.


Per concludere

Questo ultimo tratto, attraverso l’immagine del viaggio, ci permette di rivivere tutto il percorso.

Se noi leggiamo Lc 24,13-35, la vicenda dei due di Emmaus, ritroviamo la storia della nostra fede.

Nel nostro cammino, lungo le strade della nostra vita, abbiamo incontrato dei testimoni, dei credenti in Gesù. Essi appartenevano alla casa, alla famiglia del Signore, fatta da tutti coloro che ascoltano la sua parola e la vivono. Questa comunità custodisce il libro. I testimoni, i credenti hanno dato voce alla Parola e ci hanno narrato la vicenda di Gesù. Ci hanno mostrato il Cristo. Mediante la loro parola, anche noi abbiamo sentito che, con un volto preciso, una Persona (Lc 24,14) si accostava a noi, prendeva il nostro passo, dava luce alla nostra esistenza. Abbiamo provato l’esigenza di incontrarlo nella sua casa, la comunità. A nostra volta, dopo essere stati toccati dalla Parola, sentiamo l’esigenza di comunicare, lungo le strade di ogni giorno, la lieta notizia: «Il Signore è veramente risorto» (Lc 24,34).

Cosa è allora la Bibbia?

L’abbiamo aperta considerandola come libro, anzi come biblioteca. L’impressione è stata quella di entrare come in una foresta: due scaffali (AT e NT), tanti libri (73), svariate tradizioni orali e poi molteplici redazioni scritte. La Bibbia è la lettera che Dio ci ha inviato. Particolarmente solenne è il momento in cui, all’interno della Liturgia, noi la apriamo. In questa fase il verbo da sottolineare è leggere.

L’abbiamo accolta poi come voceAl suo interno risuonano le narrazioni dei patriarchi, gli oracoli dei profeti, i detti dei saggi, la predicazione di Gesù e della comunità primitiva. La Scrittura ha mostrato il suo aspetto interpellante. Dio si rivolge a noi per rivelarsi, per mostrarci una via, per offrirci un conforto, per ribadire in continuità il suo progetto di alleanza. In questa fase il verbo più adatto è udire.

Comprendiamo, poi, che capire le Scritture è vedere un voltoquello di Cristo. In Gesù di Nazareth, Figlio di Dio che diventa Figlio dell’uomo, tutto si unifica, si semplifica. Conoscere la Scrittura è conoscere Cristo. A questo punto il verbo più adatto diventa contemplareÈ Gesù che si mostra a noi come agli uditori della Palestina e ai discepoli. Noi, come Maria, sorella di Marta, interrompiamo ogni attività, ci sediamo ai piedi del Signore senza dire nulla e lo guardiamo fisso negli occhi (cf. Lc 10 38-42). Egli è la chiave di lettura. Con lui le promesse, le profezie si realizzano (Lc 24,27). Il suo conversare con noi riscalda il cuore (Lc 24,32).

C’è una casa dove il Cristo si ferma, siede a mensa, spiega le Scritture, spezza il Pane. Qui la Parola diventa carne e si aprono gli occhi. È la casa della comunità e dell’incontro con i fratelli di fede. È la casa della comunione e della cura per l’altro. Nella Chiesa e in ogni casa si ripete e si vive l’annuncio di fede, si incontra il volto di Cristo e si ascolta la sua voce. Nella casa il verbo è fare la Parola.

La Parola ha l’effetto di rimettere in movimento, di far ripercorrere all’inverso la strada (Lc 24,33). Le Scritture risuonano ovunque, anche fuori del tempio, lungo le vie della storia. La Bibbia è, proprio per coloro che sono in cammino, luce, conforto, indicatrice di una direzione, rivelazione della presenza del Signore crocifisso e risorto. Punto di arrivo è l’invito a incontrare Colui che è il cammino, ma anche a stare nella strada, luogo in cui la Parola corre e incrocia la vita. Le Sacre Scritture, nate dal cammino e dalla storia di Israele e dalla Chiesa, mostrano proprio tutte le loro potenzialità quando si incontrano con la nostra storia e le nostre strade e ci chiedono di camminare alla luce della Parola.